di Stefano Pederiva (prima parte)
Il testo che segue è la stesura riassuntiva delle relazioni svolte durante l’incontro svoltosi a Lamoli dal 14 al 16 giugno 2013, esso fa quindi anche riferimento alle esperienze fenomenologiche fatte in comune durante le uscite in natura e alle riflessioni fatte in precedenti incontri.
L’idea di guardare alla natura come ad un libro da poter “leggere” risale a Raimondo De Sabunda, un filoso catalano morto a Tolosa nel 1436 e che insegnava: l’uomo antico si ricordava della sua origine spirituale e sapeva “leggere nel libro della natura”, poi l’uomo perse questa capacità, Dio ne ebbe compassione e gli diede la Bibbia, il “libro della rivelazione” perché non si staccasse del tutto dalle realtà divino spirituali. L’uomo del futuro deve riconquistarsi la capacità di “leggere nel libro della natura” , per ritrovare la spiritualità della natura stessa. Quindi là dove parliamo di “leggere” andiamo oltre la elementare posizione di “spettatore” che al massimo descrive le forme e la frequenza delle singole lettere, ma non coglie dei significati che vanno oltre il mero segno grafico. Per “leggere” è poi necessario acquisire una capacità di lettura. Con questo cerchiamo un ampliamento rispetto a quanto conosciamo come moderna ricerca scientifica.
Lo sviluppo della scienza poggia su alcuni aspetti generali che brevemente cercherò di riassumere. Da un lato l’attenzione dell’uomo che per secoli e secoli era impegnata nella esperienza rivolta al mondo divino nell’ambito della tradizione religiosa, si è diretta verso la natura andando a scoprirne gli aspetti materiali, si pensi alle scoperte geografiche e alla nascita della chimica, della botanica, della zoologia e così via. La vita interiore e la sfera morale sono restate prerogative della religione, di modo che emerge un chiaro dualismo: da un lato una scienza che guarda solo alla natura e che quindi non si pone più domande etiche e sociali, dall’altro una religione che si occupa della sfera dell’anima e che diventa sempre più una esperienza personale e soggettiva.
La seconda scelta è stata quella di voler considerare solo gli aspetti quantitativi della ricerca ciò che si esprime in peso, numero e misura. La ricchezza qualitativa legata alla esperienza sensoriale, lascia sempre più il posto a modelli. Le cosiddette qualità secondarie, cioè i colori, i sapori, i gusti e così via che io sento, si ritengono soggettive e non parte della scienza oggettiva. Questo aspetto quantitativo è stato la premessa che ha portato al poderoso sviluppo della tecnica moderna.
La terza scelta che vorrei ricordare è quella di aver seguito un criterio analitico. Se ho davanti a me un fenomeno complesso come una pianta, ne studio le singole parti procedendo sempre più nel piccolo, fino ai fattori che non posso più ulteriormente dividere, gli atomi. Per fare questo devo fare a pezzi la pianta, con le parti che ottengo non riesco però più a ricostruirla come essere vivente, riesco al massimo a risintetizzare le sue componenti chimiche. Senza questa scelta non avremmo il ricchissimo mondo della chimica moderna.
Lo sviluppo della scienza ha portato ad un radicale cambiamento di coscienza, in quanto ha staccato l’uomo da una guida esterna, necessaria quando viveva ancora in una coscienza collettiva, e lo ha posto sui suoi piedi quale uomo individualizzato e potenzialmente libero e capace di assunzione di responsabilità.
Sappiamo come queste scelte abbiano fatto emergere anche delle ombre: una scienza “amorale” che comincia a rivolgersi contro la dimensione umana che è qualificata da scelte etiche, si pensi ai problemi della manipolazione genetica o della eutanasia; una scienza riduzionistica che vede per esempio l’uomo come puro essere biologico che nella vita sociale segue i principi della lotta per l’esistenza con la vincita del più forte; una scienza che ha in sé il principio di distruzione della vita, con le vaste problematiche ecologiche che ne derivano.
Proprio queste ombre portano ad un ripensamento di tutta l’impostazione data dalla scienza. Vi sono quindi tendenze alla fuga nel passato che precede scienza e tecnica moderne, oppure la ricerca di nuove vie che portino ad un ampliamento capace di superare i limiti a cui abbiamo accennato. Si tratterebbe quindi di sviluppare una scienza che da un lato superi il dualismo, dall’altro rivaluti gli aspetti qualitativi e maturi poi una coscienza per gli insiemi con dei criteri “sintetici” invece che analitici. L’approccio di Goethe scienziato, con la elaborazione gnoseologica di R.Steiner, tenta l’avvio di una ricerca scientifica che risponda a queste esigenze. I fondamenti si trovano in una opera giovanile di R.Steiner maturata durante la sua elaborazione degli scritti scientifici di Goethe “Linee fondamentali di una gnoseologia della concezione goethiana del mondo”. Farò quindi riferimento a questo scritto quale fondamento metodologico delle esperienze che cercheremo di fare insieme, portando alcune esemplificazioni attraverso una serie di immagini.
Ritengo importante avere presente che l’approccio esperienziale che avremo nelle uscite in natura, andando ad osservare la ricchezza di fenomeni paesaggistici e botanici, non vuole avere un carattere primariamente evasivo ed emotivo nel senso di un avvicinamento soggettivo più o meno gratificante alla natura, ma che si vorrebbero acquisire i rudimenti di una metodologia che abbia un carattere oggettivabile e “scientifico”, dando così un contributo alla più ampia problematica della scienza moderna. Da “spettatori” passivi vorremmo passare a diventare “attori” capaci di “leggere” attraverso i fenomeni il linguaggio della natura, un linguaggio non materiale, ma spirituale.
Prendiamo le mosse dalla osservazione della crescita della pianta: un seme messo in terra mostra una parte della pianta che va verso il centro della terra (geotropismo della radice) e una parte che va verso la luce e il sole (eliotropismo dell’apice vegetativo). E’ interessante osservare la diversa dinamica di crescita: la radice procede nella sua parte primaria come una freccia che penetra nel terreno, l’apice vegetativo cresce invece con un gesto sferico, in quanto la maggiore moltiplicazione cellulare si ha nelle zone ascellari. La pianta si inserisce quindi in due dinamiche fra loro polari, potremmo parlare di una spazio “centrale” e buio e di uno spazio “periferico” e luminoso. La radice ha i suoi vasi principali al centro perché risucchia acqua e sali minerali dalla periferia, la parte rivolta alla luce ha i vasi principali in periferia perché porta i liquidi verso la foglie con la loro traspirazione.
Lasciamo la natura e facciamo un ragionamento puramente geometrico: posso definire un cerchio come luogo dei punti equidistanti dal centro o come inviluppo della sue tangenti, una volta faccio riferimento ad un centro, l’altra alla periferia. Se unisco una serie di cerchi, uno che “cresce” dal centro alla periferia e uno che “proviene” dalla periferia e va verso il centro, ottengo una serie di curve che sono note come curve di Cassini. Un caso particolare è dato dalla figura nota come lemniscata. Ho interiormente davanti a me una realtà geometrica a valenza universale, in quanto posso fare infinite “variazioni” di questo principio generale.
Torniamo ai fenomeni visti nella pianta: uno spazio “centrale” e uno spazio “periferico” che si incrociano a livello del cosiddetto “colletto”, il confine fra il terreno e la parte atmosferica.
La pianta manifesta la sua vita nella dinamica della figura geometrica che ho prodotto nella mia attività di pensiero. Dovremmo in realtà meravigliarci profondamente del fatto che vi sia una relazione fra la natura esteriore e la mia vita interiore ! Nella misura in cui io scopro singole piante o parti di piante quali espressione della idea universale di lemniscata, la pianta particolare mi parla di un principio generale. L’idea geometrica non è visibile all’occhio fisico, ma ne posso scoprire le tracce entro il mondo visibile. Scopro nel visibile l’invisibile.
Seguendo questa traccia un matematico steineriano tedesco, Georg Adams, studioso di geometrie non euclidee, ha elaborato insieme alla moglie Olive Wicher un testo pubblicato col titolo “ La pianta in spazio e contro spazio” dal quale ho tratto diverse immagini che possono servire come traccia per andare in natura e chiedere ad ogni pianta: come gestisci il tuo rapporto con spazio e contro spazio, cioè con la spazio “terrestre” in cui penetra la radice e lo spazio “cosmico” in cui penetra l’apice vegetativo? Come gestisci la lemniscata che ne deriva ? Abbiamo così le prime “lettere” della “scrittura” che vogliamo imparare a “leggere”.
Goethe ha fatto in realtà un percorso molto più ampio e articolato per giungere non ad una idea geometrica, bensì ad una pianta universale, “archetipica”, che l’occhio fisico non vede e di cui ogni singola pianta è manifestazione particolare. Alcune brevi frasi dal testo di R.Steiner che caratterizzano l’idea generale come “tipo”: il tipo “ non può essere veramente se non ciò che nel particolare appare sotto la forma dell’universale …. In nessun organismo il tipo è sviluppato in tutta la sua perfezione. Solo il nostro pensare razionale è in grado di impossessarsene, astraendolo come immagine universale dai fenomeni. Il tipo è così l’idea dell’ organismo …. È un quid assolutamente fluido dal quale si possono derivare tutti i generi e le specie particolari, che si possono riguardare come sotto-tipi, come tipi specializzati … il tipo ci mette in condizione di vedere il singolo organismo come una forma speciale della figura primordiale dell’archetipo. “ (pag. 89-91)
“Nell’afferrare il tipo, il nostro spirito deve agire molto più intensamente che nell’afferrare la legge naturale; deve insieme alla forma, generare il contenuto; deve assumere una attività a cui nella scienza inorganica si provvede con i sensi e che chiamiamo osservazione. A questo gradino superiore lo spirito stesso deve dunque essere osservatore. Il nostro giudizio deve guardare pensando e pensare guardando. Abbiamo dunque a che fare come venne mostrato per la prima volta da Goethe, con una forza veggente del giudizio.” (pag. 95-96)
Vediamo così come questo approccio da un lato metta in relazione la vita interiore, il pensare che coglie le idee, con la natura esteriore, superando il dualismo, dall’altro come si richieda una attivazione interiore che mi fa diventare “attore” invece di lasciarmi passivo “spettatore” e infine come l’idea di tipo e archetipo rappresenti un realtà “sintetica” universale che polare alla visione analitica. (fine prima parte)