di Achille Minisini
L’albero ogni anno costruisce una struttura sempre più complessa e contemporaneamente ripete alcune operazioni, come la fioritura e la fruttificazione, che sono l’essenza della sua vitalità: cicli stagionali che tutti conosciamo.
Così come tutti sappiamo che un seme può generare una radice e un germoglio, che sono la prima impalcatura di una struttura che poi è destinata a diventare anche molto imponente e complessa. Se guardiamo ad una secolare quercia e ripensiamo a quel piccolo germoglio che ne è stato la base e che ancora è conservato all’interno dei numerosi cerchi annuali del legno, sicuramente ci apparirà prodigioso ciò che normalmente riteniamo scontato: il crescere stagione dopo stagione della pianta medesima.
Della preziosa vita delle piante, un primo piccolo ma significativo passo può essere quello di imparare a conoscere l’albero: già sappiamo cos’è una foglia, un fiore o un frutto, ma non sempre è noto cosa c’è dentro un albero e come “funziona”.
La circolazione linfatica. Una pianta inizia a crescere formando un fusto principale, questo rimane ben distinguibile come prolungamento del tronco per molti anni. Tutte le ramificazioni partono da questo fusto e con esso sono collegate tramite un insieme di numerosi “tubi”, all’interno dei quali scorre la linfa grezza che porta alle foglie una grande quantità di acqua ed elementi assorbiti attraverso le radici dal terreno. Un’altra circolazione distribuisce la linfa elaborata dalle foglie, con la fotosintesi, a tutte le parti della pianta allo scopo di “nutrirle”. La prima circolazione va quindi verso l’alto e scorre nella parte interna della pianta (Legno o Xilema), la seconda, meno abbondante perché in gran parte l’acqua è evaporata dalle foglie, discende lungo un sottile strato di tubi (Libro o Floema) nella parte esterna della pianta, subito sotto la corteccia.
Fra i due sistemi di condotta esiste un invisibile strato di cellule che ha una grande importanza, perché produce ogni anno un cerchio di legno all’interno (sono i famosi anelli annuali del tronco) il cambio: così l’albero cresce. Da queste semplici conoscenze possono derivare molte indicazioni pratiche, per esempio quando si incide la corteccia o si stringe fortemente un legaccio nel tronco o in un ramo si danneggiano quegli importanti tessuti che si trovano immediatamente sotto la corteccia, arrecando un grave danno alla pianta.
Dalla Settima Conferenza “Impulsi scientifico spirituali per il progresso dell’Agricoltura” (R. Steiner) leggiamo: Se osserviamo un albero da frutta, per esempio un pero, un melo o un pruno, vediamo che ognuno di essi, ogni singolo albero, è qualcosa di fondamentalmente diverso da una pianta erbacea, da un cereale. Ci si deve obiettivamente render conto in che consista tale differenza, altrimenti non si giungerà mai a comprendere la funzione della frutta nell’economia della natura. Mi riferisco ora anzitutto alla frutta che cresce sopra un albero. Osserviamo dunque un albero: che cosa è esso in realtà nell’economia della natura? Se lo guardiamo con comprensione possiamo anzitutto considerare come propriamente vegetale in esso soltanto i fini steli, i verdi piccioli, i fiori e i frutti che crescono sull’albero. Tutte queste parti crescono sull’albero allo stesso modo con cui la pianta erbacea cresce dalla terra. Rispetto a quanto cresce sui suoi rami, l’albero è quindi effettivamente un vero e proprio terreno, è terra rialzata e strutturata in maniera un po’ più vivente di quella su cui crescono le erbe e i cereali.
Se quindi vogliamo comprendere l’albero dobbiamo dirci che esiste lo spesso tronco al quale in un certo senso appartengono anche rami e rametti. Su di essi cresce la pianta vera e propria con le sue foglie e i suoi fiori. Questa è la vera pianta, quella cioè che ha messo radice sul tronco e sui rami dell’albero, come lo fa l’erba o il cereale sulla terra stessa. Qui si pone subito una domanda: questa pianta, che potrebbe essere considerata più o meno parassitaria nei riguardi dell’albero, è poi realmente anche radicata su di esso?
Sull’albero non possiamo scoprire una vera e propria radice, e se vogliamo rettamente comprendere questa struttura dobbiamo dire che la pianta che cresce sull’albero, che ha sviluppato lassù i suoi fiori, le sue foglie e perfino il proprio stelo, è una pianta che ha perduto le sue radici per il fatto di essere situata sull’albero. Una pianta non è però completa se manca di radici; occorre una radice, e dobbiamo allora domandarci dove mai siano le radici di questa pianta.
La radice c’è, ma non è osservabile allo sguardo esteriore grossolano. In questo caso la si deve però non solo voler vedere, ma si deve anche saperla comprendere. Comprenderla? Che cosa può mai significare? Per poter afferrare il problema, con un esempio tratto dalla realtà, immaginiamo che io semini su di un terreno, vicine fra di loro, tante piante erbacee le cui radici si fondano le une con le altre, in modo che la radice di ognuna si attorcigli attorno a quella delle altre, fino a che tutto diventi un groviglio di radici.
Possiamo senz’altro immaginare che tale groviglio non intenda rimanere come qualcosa di irregolare, ma voglia organizzarsi a unità, e che i suoi succhi vengano a scorrere l’uno nell’altro sotto la terra; il groviglio si è dunque organizzato in modo che non si possa distinguere dove comincino e dove finiscano le varie radici. Nascerebbe cioè un’entità radicale comune (si veda il disegno qui di seguito).
Qualcosa di simile, anche se non sempre esiste inizialmente, ma tale comunque da aiutarci a capire, è ciò che ho disegnato: a metà vi è il terreno e vi colloco tutte le mie pianticelle, sotto la terra crescono e si fondono tutte le radici l’una nell’altra. Ne viene fuori un insieme radicale come uno strato piatto nel quale non si sa dove cominci una radice e dove cominci l’altra. Quel che ho disegnato come un’ipotesi è realmente presente nell’albero: la pianta che cresce sull’albero ha perduto la sua radice, se ne è perfino relativamente staccata, e per così dire è rimasta etericamente unita ad essa. Quello che ho disegnato ipoteticamente esiste in realtà dentro l’albero ed è lo strato del cambio, il cambio. Possiamo quindi considerare che tutte le radici siano come sostituite dal cambio.
Ma il cambio non ha l’aspetto di una radice; è lo strato germinativo che costruisce sempre nuove cellule, che dà origine al continuo accrescimento, così come si sviluppa da una radice sotterranea la pianta erbacea verso l’alto. Così nell’albero, con il suo cambio che rappresenta lo strato germinativo vero e proprio, capace di generare cellule fresche, vediamo come l’elemento terra si sia realmente estroflesso, abbia raggiunto l’elemento aeriforme, e con ciò stesso debba interiorizzare di più la propria vita, più di quanto non abbia bisogno di farlo la terra che porta in sé la comune radice.
Cominciamo così a comprendere l’albero.
Lo comprendiamo anzitutto come un essere molto particolare la cui funzione è quella di tenere separate l’una dall’altra le piante che gli crescono addosso col loro stelo, i loro fiori e i loro frutti, dalla loro radice; di tenerle lontane l’una dall’altra e di riunirle soltanto attraverso lo spirito, o meglio attraverso l’elemento eterico
Perché dunque la pasta per tronchi? Le piante, durante il riposo vegetativo invernale, si preparano alla primavera elaborando sostanze nella radice e accumulando forze e nutrienti nella corteccia.
Perché molti alberi perdono le foglie mentre altri non lo fanno? Le specie a foglia caduca quando percepiscono il calo dell’irraggiamento solare e delle temperature tendono a spogliarsi per varie ragioni; una tra queste è che l’albero attua il meccanismo di riduzione della traspirazione fogliare e riduce il suo metabolismo al minimo. Tuttavia mantiene una attività fotosintetica minima, assorbendo luce non più attraverso le foglie ma con il tronco e i rami.
La spiegazione biodinamica del perché gli alberi sempreverdi non perdono le foglie è che queste piante sono capaci di accumulare luce e calore attraverso gli oli essenziali e altre sostanze che fungono da accumulatori di luce biologici, pertanto perdono foglie non nel periodo invernale, ma in quello primaverile-estivo, quando raggiungono una soglia di saturazione di luce.
La biodinamica, di conseguenza, suggerisce di sostenere i processi vitali invernali o di fine inverno delle piante a foglia caduca più bisognose irrorando i tronchi con la pasta per tronchi di cui indichiamo alcune ricette.
PASTA LIQUIDA PER L’IRRORAZIONE DEL FRUTTETO E DEL VIGNETO
RICETTA DELLA POLTIGLIA AUSTRALIANA
Mettere del letame fresco di vacca in un sacco di tela o di nylon. L’utilizzo di tela di juta va evitato poiché contiene quasi sempre residui di pesticidi tossici. Immergere il sacco in un grande recipiente di rame, di inox o di legno, riempito di acqua pura. Lasciar macerare per 24 ore e filtrare accuratamente prima dell’impiego.
In un altro recipiente mescolare il caolino (minerale silicato di argilla) o la bentonite in una quantità di acqua sufficiente a farli gonfiare e ottenere una “zuppa” leggera. Le argille verdi e le bentoniti sono facilmente dilavabili dalla pioggia quindi è meglio usarle associate al caolino che conferisce aderenza al preparato. Filtrare il liquido e addizionarlo al primo già filtrato.
Si possono aggiungere anche escrementi di piccione, il silicato di sodio (massimo 2%) e lo zolfo bagnabile (1-2%). Diluire il preparato in acqua fino ad ottenere 250-400 l/ha. L’applicazione va fatta su tutta la pianta: prima dell’inverno, dopo la pota tura e prima del germogliamento, con la stessa attrezzatura dei trattamenti antiparassitari.
RICETTA DI EHRENFRIED PFEIFFER
Dosi per 2 ha: 2 secchi di letame fresco di vacca, 2 secchi di argilla, 1 secchio di kieserite (solfato di magnesio) o di polvere di diatomee (carbonato di calcio e diossido di silicio), decotto di 250 g di equiseto in 10 I di acqua e 200 g di preparato 500 dinamizzato in 100 I di acqua. Filtrare il preparato ottenuto e procedere con il trattamento cospargendo completamente gli alberi.
RICETTA DI VOLKMAR LUST
Consigliato come trattamento preventivo alla ticchiolatura, va impiegato in novembre e prima del germogliamento successivo.
Per 100 I di poltiglia, utilizzare 5 kg di caolino, 3 kg di solfato di potassio (potassio al 50%), 0,7 kg di zolfo bagnabile e 1 I di silicato di sodio.
La dose è 800-1000 l/ha.
PASTA PER TRONCHI E GRANDI FERITE DA TAGLIO
Fare una poltiglia di argilla (caolinite) e di letame fresco di vacca in parti uguali. Aggiungere 1% di decotto di equiseto dinamizzato per 10 minuti.
La quantità varia in base al numero di alberi da trattare. Se l’equiseto non fosse disponibile, si può usare il 2% di silicato di sodio. Stendere il composto con un pennello o con una spazzola sulle cortecce rovinate, sugli alberi in difficoltà e sulle grandi ferite da taglio. Conservare il preparato in luogo fresco finché non comincia a mandare cattivo odore.
PASTA PER TRONCHI DI MARIA THUN
1 parte letame bovino (10kg) – 1 parte argilla (10kg)
¼ parte farina di basalto (2,5 kg)
¼ parte cenere di legna (2,5 kg)
1/10 siero di latte (1 litro)
Si dinamizza per un’ora (anche con l’aggiunta dei preparati).
In sostituzione della pennellatura dei tronchi si può usare questa pasta in questo modo:
100 gr. di pasta per tronchi – 60 gr. di Fladen
In 10 litri d’acqua – si dinamizza per 20 minuti e si spruzza su tutto l’albero per tre volte in giorni di frutti.
PASTA PER TRONCHI DI VOLKMAR LUST
Dosi per 50 alberi di circa 10 anni con dimensioni del tronco principale di circa 60· 80 cm di altezza:
5 kg di caolino per stimolare, ringiovanire e proteggere dal gelo la corteccia. L’argilla agisce come mediatore tra le forze cosmiche e quelle terrestri;
3 kg di letame di vacca per stimolare la vitalità della corteccia e la formazione di ormoni;
0,5 kg di litotamnio ricco di calcio, magnesio ed oligoelementi di origine marina;
0,5 kg di basalto micronizzato, ricco anch’esso di calcio, magnesio, acido salicilico ed oligoelementi di origine vulcanica;
0,5 kg di solfato di potassio repellente per le mosche, i licheni e vari parassiti animali;
0,5 kg di silicato di sodio
Mescolare insieme gli ingredienti in un recipiente con 12 l. di acqua piovana tiepida fino a formare una poltiglia omogenea. Il silicato di sodio deve essere aggiunto all’ultimo momento perché provoca l’inspessimento e la coagulazione della poltiglia.
PASTA PER LE FERITE DI POTATURA DELLA VITE (indicazioni di Marc e Pierrette Guillemot, viticoltori in Borgogna)
Dopo aver potato, riservarsi mezz’ora per distribuire sui tagli eseguiti nel corso della giornata la pasta protettiva composta da letame fresco, argilla comune, latticello e ceneri di legna setacciate. La consistenza ottimale dell’impasto è collosa e quest’ultimo può essere conservato per qualche giorno. Volendo, si può sostituire il latticello con il decotto di equiseto.
PASTA PER LE FERITE DI POTATURA DEL VIGNETO (indicazioni di Frédéric Lafarge, viticoltore in Borgogna)
Alla fine di ciascuna giornata di potatura distribuire con un atomizzatore una miscela di decotto di equiseto, argilla, silicato di sodio e tintura di propoli. La bentonite micronizzata deve essere messa in ammollo qualche giorno prima. Il decotto di equiseto (300 g per 10 I di acqua) si può conservare al buio per circa 15 giorni. I prodotti vanno mescolati al momento della loro applicazione. Per avere 60 I di pasta liquida servono:
30 cc di silicato di sodio; 11 di decotto di equiseto;
36 gocce di propoli, in soluzione idroalcolica;
7% di bentonite micronizzata.
Aggiungere acqua piovana fino ad ottenere 60-80 litri di composto.
Buon lavoro!